mercoledì 22 giugno 2016

Ritorno ai Tempi dello Splendore.

(per qualche motivo c'è un gruppetto di gente che legge questa roba, se sei fra loro e ti stai chiedendo che fine ha fatto la seconda parte della storia breve: ci sto lavorando ma ho avuto da fare/sono pigro/ devo studiare un bel po' di roba per continuarla, per cui arriverà eventualmente)


Yeah, è il momento di una recensione. 
Voglio parlare dell'album che rimane, tuttora, il mio preferito in ambito di musica moderna. Premettendo che non sono un musicologo e non sono un musicista, credo di avere dei buoni motivi per raccomandare questo lavoro. Intanto rispondiamo alla domanda fondamentale: perché?
O meglio: perché recensire un album uscito nel 2004, di una band oramai praticamente sconosciuta?
Il motivo è semplice: recentemente si sono riuniti, e se il lavoro che hanno preparato in questi 12 anni varrà l'attesa voglio che abbiano tutta la pubblicità che mi è possibile fare.
Per cui ecco la mia recensione di Back to Times of Splendor, della band tedesca metal progressive Disillusion.

...And The Mirror Cracked.

L'album si apre in medias res: nei primi secondi ci accoglie una breve intro di chitarra e batteria che stabilisce il mood di tutta la prima metà. Un riff piuttosto pesante si alterna all'altro e avvicinandosi all'introduzione della voce già si evidenzia uno dei motivi principali per cui amo così tanto questo lavoro: la sua complessità. I Disillusion non sono Beethoven - non sono nemmeno avversi alla struttura tradizionale strofa-ritornello-strofa (anche se su questa vedremo delle eccezioni notevoli proseguendo con le tracce) - ma nonostante tutto hanno caricato questo album di musica. C'è tanta musica nelle canzoni, buffo a dirsi, ma quello che in pratica significa è che la ripetitività è tenuta al minimo: i riff si alternano continuamente, così come i cambi di effetti sulla voce; gli assoli non sono semplici virtuosismi ma si integrano perfettamente; e anche dove la ripetizione viene usata non è mai con banalità: una volta viene proposta la frase, entrano voci, ne escono altre, si raddoppia, la batteria cambia il suo pattern ecc ecc.
Insomma dicevamo dell'ingresso della voce: il versatile Andy Schmidt (cantante, bassista, tastierista e chitarrista) da il meglio di sé alternando voce pulita ad uno scream e un growl piuttosto leggeri, che enfatizzano i punti più espressivi del testo, e riesce a comunicare perfettamente tanto cattiveria, forza e aggressività quanto dolcezza - merito anche dei molti effetti vocali usati e alternati.
La prima strofa e il primo ritornello scorrono via e fluiscono in un assolo che cede poi il posto ad una sezione acustica. Senza voler indugiare ancora troppo, ci sono alcune sottigliezze del testo che apprezzo molto in questa canzone. La scrittura dei Disillusion non è sempre delle migliori, e cede spesso al superomismo nietzschiano tipico dei testi metal, o a volerla dire un po' più alla leggera: al cazzodurismo di tradizione leghista. Per questo alcuni versi sono un piacevole diversivo, come:

"And with courageous verve I stride

chop the heads off plants aside, still wondering"



Alla fine del primo verso, l'aspettativa viene settata su qualcosa di più "metal", (le teste dei nemici?) e il tutto prende una piaga di impotenza intimista piacevole (allitterazioni a mille) quando a venire decapitati sono dei semplici tulipani.


Anche il verso


"I have been demure

Cries were silent but heart ablaze.

have been one of his shadows

Condemned to stray an unlit maze.

My feet are numb, soles torn wide open
After endless years of clambering
My path is lit and leads me north."


nella brutta verità che chi non sa scrive tende ad abbondare nelle esagerazioni (e nei testi ci saranno un bel po' di endless, inifnite, thousand e quant'altro), ha una sua certa grazia.

Fall.



Sentire il riff di apertura di questa canzone evidenzia pienamente quello che intendevo dicendo il mood della prima metà. Le prime tre canzoni sembrano infatti quasi formare un unico, più lungo pezzo. Fall è la più tranquilla, presentando quasi unicamente voce pulita. E non è un caso, perché il testo introduce qui l'elemento della malinconia, della nostalgia, che le distorsioni avrebbero un po' rovinato.



"Deep it must have been
The thorn that spread a veil of constancy
Times in stalemate, times of certitude
Again and again this wound
It's these moments
When the comfort of the bygone
And the light of long gone days
Enchant me with their hollow songs
And grasp for me with their stone-cold hands."


La lunghezza di questo pezzo è piuttosto sospetta, considerando la media dell'album, e qualcosa nella sua struttura auto-concludente e autonoma mi fa pensare che sia stata progettata così, sperando di infilare almeno un singolo in radio. 
Il secondo verso ha di nuovo qualcosa di grazioso:

"And both we know that you knew

pain would grow through you

But we pretended soils would flourish

from the time we turn our backs."

Alone I Stand In Fire.

Il respiro affannato di Andy ci introduce all'ultimo pezzo della prima trilogia. Ho trovato interessante l'uso dei sussurri (difficili da sentire persino in cuffia) che viene fatto. Di nuovo ritorna il tema del machismo, o se vogliamo dell'auto-incoraggiamento. Eppure è con un po' di infantilità che affermo quanto abbia funzionato in questo pezzo. La sequenza di accordi trionfanti, la cattiveria che ci mette il cantante e la ricaduta strumentale successiva; c'è qualcosa nel combinarsi del tutto che rende il ritornello, quel

"But today will be my day

When I stand up and be brave

Today it is me and my ire

Today I stand alone in fires."

veramente galvanizzante. Il brano si conclude con una piccola uscita di pianoforte che è - bizzarro - perfettamente integrata con il riff pesantissimo che ci ha accompagnato finora. Un rimorso personale: avrei apprezzato sentirne di più, o che avessero trovato il modo di integrarlo in altre tracce, perché ogni volta che le tastiere di Schmidt si sentono sono eleganti, leggere, e contribuiscono moltissimo.

Back To Times Of Splendor

Ah, la title track. Che dire della title track? Che dire di questo piccolo concerto - visto che con i 14 minuti di lunghezza, la durata è quella -?
Amo tuttora alla follia quell'introduzione di violino. Così semplice ma così efficace nel trasmettere quello che le prime strofe del testo ci spiegheranno. Un barlume di speranza e poi la caduta. Il massiccio, pesantissimo riff di chitarra che sovrasta all'istante lo strumento sintetico incarna alla perfezione quello sciame di vespe che rovinerà tutto:

"Half way through the wheat, my golden foe
With his itching ears in the scorching heat.
The weight of summer, torment to my hands
Armed with a sickle I am out for his beguiling glance.
Thought I heared a mare neighing from the creek
Where in every hour spared we anxiously would meet.
Drunken whispers noone could hear
'til the day when hordes of wasps
Poisoned every hour so passed."

La tempesta, l'estate, il grano e il mare. Potrà essere una mia impressione personale e non condivisa, ma c'è qualcosa in questa musica, in questo testo, che sorregge benissimo le immagini che vuole evocare.
Non è male anche la figura retorica, nel verso successivo, del

"She Leaned to me and whispered tears into my ear."

Il pezzo prosegue e cresce esponenzialmente, si gonfia fino ad arrivare all'apice finale: la tempesta. L'ostinato. I must have seen it coming. Anche qui il testo ci regala un verso piuttosto pregevole:

"At sudden swallows took upon the scene

Heralding what I could not have foreseen

a threat of rain on the dark horizon

A strong foreboding of a storm arising.
And willows'd roar, midges dazzled
birches sigh from painful lessons
lessons they'd learned in life
that every stem breaks if bent too far."

Dopo di che la tempesta. E qui tutto cambia, perché dopo qualche secondo di silenzio e tuoni distanti parte un giro di basso tipicamente groove. Inizia il "secondo tempo", ovvero un lungo strumentale di chitarre, tastiere, basso e mandolino. 

"Oh my longing's neverending. Time's so pale

So come with colors, paint it burning red

I fear no more, can see clearly now

The morning sun beyond the clouds.
And when the dark night seems endless
With only a quarter moon left of light
I am longing back to times of splendor
Longing far away, away from here and back to you."

Mi rendo conto che con tutto questo citazionismo del testo la musica stia passando in sottofondo. Me ne dispiace sinceramente, perché è la musica il forte di quest'album (un'altra frase piuttosto bizzarra da vedere scritta). Back to times of splendor è un banchetto di riff, melodie, assoli e variazioni. È orecchiabile e difficile; alterna un ritornello pop a dei riff pesantissimi; ha un uso brillante delle strumentazioni sintetiche così come delle acustiche. Riesce ad evocare perfettamente quel senso di spaziosità e importanza che il titolo stesso suggerisce.

A Day By The Lake.

Dall'estremamente ambizioso all'estremamente umile: a day by the lake è il pezzo più acustico e rilassato di tutto l'album. Due semplice note, ripetute costantemente, riescono a dipingere con un'efficacia sorprendente quello che la canzone rappresenta: una giornata al lago, appunto. Il protagonista è sopravvissuto alla notte (BttoS è un concept album, fra le varie cose, ma ne parlerò dopo), e la giornata successiva serve appunto a dimenticare.

"Back at last from yearning slumber

When the nightly drama came to a close

Hoping that fall will never come

Salute the morning sun
Inviting us to idleness
Hoping that fall will never come
The hour calls for secrecy
Silently we'd slip out to the lake
Hoping that fall will never come
And I stumble as of vertigo
Can't await the sound of gentle waves
Melting with the rhythm of our crave.
But today there are only elegies
Filling our tainted elysium
Still hoping that fall will never come
This place turned to a fraud mirage
Deceitful and untrue.
Still hoping that fall will never come
Embraces solace me
They hide my tears in pastel drapery
Still hoping that fall will never come
And I cry just as you
Knowing, this is coming to an end
But still I am hoping that fall will never come.

But it came."


Ho apprezzato particolarmente quel when the nightly drama, quasi l'album prendesse una piega auto-ironica riguardo ai cliché dei testi metal. Per questo pezzo devo ammettere che non ci sia molto da dire: è una canzone che vuole sapere d'estate, di calma, di rilassamento e riflessione, e diamine se ci riesce. Schmidt tira fuori il suo miglior pulito e la sua linea melodica sembra quasi un cavalcare le onde stesse - onde pacifiche - di un tranquillo lago.

Ora, esiste una regola non scritta per gli album, e questa dice che ogni tipo di parlato fuori canzone andrebbe mantenuto al minimo, perché ascolto dopo ascolto diventa sempre meno tollerato.

Back to Times of Splendor ha un'unica frase, o meglio tre parole: but it came.

È breve, è conciso, non è invadente. Ma proprio per questo è un peccato che non sia stato possibile eliminarlo. Arrivare alla fine del pezzo e sentirsi interrotti da un narratore esterno è particolarmente fastidioso quando il suo uso è presente solo in questa singola istanza.

The Sleep Of Restless Hours

E arriviamo quindi all'ultima traccia, nonché all'ultimo colosso. 17 minuti di musica. Il primo tempo di un concerto romantico importante. Un lunghissimo intro di acustica cresce e si arricchisce di voci strada facendo fino all'arrivo della voce. E qui la traccia esplode di nuovo nel tipico mix di violenza e orecchiabilità a cui i Disillusion ci hanno ormai abituati. Può sembrare paradossale, ma la cosa interessante di questo pezzo è la totale assenza di cose interessanti.The sleep non è diverso dai primi tre brani, non è diverso dal primo o terzo tempo di Back to Times, ma dimostra qualcosa di diverso, ancora. Dimostra che i Disillusion possono prendere la loro formula ed estenderla per 17 minuti, cioè che possono dare una struttura sensata e coerente a un tempo assurdo per una canzone metal. Significa, sostanzialmente, che hanno il totale controllo sulla loro musica. 17 nuovi minuti di frasi piacevoli, di crescendo e cadute, di alternanze di voci, strumenti, melodie. Liricamente, siamo arrivati all'ultimo capitolo della storia. Sì perché Back to Times racconta, nella sua globalità, una storia piuttosto semplice. Un inseguimento, una figura femminile scomparsa e un labirinto. E qui troviamo un'idiosincrasia di nuovo piuttosto interessante: dove la musica sembra più trionfale, più pronta ad annunciare un lieto fine, la storia invece si conclude terribilmente. Il nostro protagonista si trova sconfitto, e affronta il suo fallimento:

"Imposture!
At the peak of my triumphant march
Conjuration!
Doubt befalls me so close to the end.
Cannot move any further
Feet are tired from the haste
So close to the finale
I desperately need to rest
Face to face with the very substance of my journey
Just need to reach out and grab the gold
Take the crown and be king for a lifetime
But in the hour that I longed for
At the vertex of my crave
Just when I thought I had broken free
I'm even deeper inside the maze
But I don't feel lost anymore
Somehow I do not feel astray
Somehow I' m not the same as before
Maybe I've grown wiser on the way
So I write this down for you to know I've been here
Tired, torn and stripped down to the core
And that I'm not the same as yesterday
Somehow I've just grown wiser on the way
Thus, I write all this down for you to know I've been here
Close enough to almost feel your breath
Write this down for you to know
I've slept the sleep of restless hours
And when I woke, I left with the promise I would be back
Fool, Me!
Swimming in the burning sea
I have seen the careless me!
Thus, I write all this down for you to know I've been here
Close enough to almost feel your breath
Write this down for you to know
I've slept the sleep of restless hours
And when I woke, I left with knowing I would be back"

La musica si spegne per la penultima volta. Rimane un ultimo assaggio di quest'album. E gli ultimi 5 minuti ci regalano infatti una conclusione strumentale gigantesca, articolata, piena di tutti gli elementi che l'album ha tirato dentro e ha sfruttato. Gli assoli posati e trionfanti, i riff di chitarra distorta, le cadute acustiche tutto in un ultimo, lento finale.



















L'album è ok. 5.5/10
















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