martedì 10 maggio 2016

Il mio regno per un monocromo rosso.

Christo in Italia.
Se l'universo non è altro che il prodotto della mia mente, mi piace credere di poter modificare dettagli della storia per dare vita a coincidenze esteticamente gradevoli. Una delle mie preferite, è immaginare che il tempo che intercorre tra la frase "sai, uno studio ha dimostrato che chi ha la mano più grande della faccia rischia di avere un tumore", e il rumore della suddetta mano schiacciata contro la faccia della vittima di turno, sia lo stesso identico tempo che è trascorso fra l'invenzione dell'arte moderna e il primo pirla che ha deciso che avrebbe fatto tutta uniformemente schifo.

Allo stesso modo mi piace immaginare che da qualche parte nel sud America esista una caverna nascosta, protetta come in un film di Indiana Jones, in cui - dopo mille trappole - si arrivi al tesoro definitivo: la più esilarante battuta di tutti i tempi.
Ogni anno milioni di comici partono in pellegrinaggio verso Lordran, e dopo aver suonato le due laught track del risveglio, hanno accesso alla caverna. Qui, sconfitti Cochi e Renato, in un incredibile baule, si trova il prezioso tesoro.
Il comico si asciuga il sudore dalla fronte. La caverna è umida, infestata da ogni genere di bestie. L'uomo si avvicina al coperchio; è sepolto da uno spesso strato di muschio. Lo solleva lentamente. Lo scrigno fa resistenza. La ruggine di mille anni lo sigilla. L'uomo tira più forte, e alla fine ce la fa. In un unico, repentino gesto, lo spalanca. Una luce dorata si emana dal suo interno. Eccola: è davanti a lui. La più grande battuta di tutti i tempi. Non importa quante volte la ripeterà, sarà sempre divertente come la prima volta, forse addirittura di più. L'uomo non riesce a crederci. Anni, anni di ricerche hanno condotto a questo momento, e ora sarà sua. Si avvicina, la raccoglie, da le spalle al baule. Allarga le braccia, è pronto:
"L'avrei saputo fare pure io!"
Le pareti della caverna iniziano a tremare, i muri a scuotersi; l'intero pianeta non è pronto per tanta ilarità così concentrata. L'uomo è a terra, incapace di controllarsi. Ride maniacalmente. La caverna si agita e ruggisce, piccoli detriti cominciano a cadere dal soffitto. L'uomo non si rende conto di nulla. Semplicemente ride. Ride fra le lacrime, ride quando ridere comincia a essere doloroso. Ride nel suo dolore sempre più forte, sempre più forte, lancinante, straziante. Ride mentre sputa sangue, ride mentre vomita e si contorce. Ride mentre l'intera caverna gli collassa attorno, schiacciandolo in un breve istante.

Si sarà capito che non trovo quella battuta divertente? È interessante però vedere quale pletora variegata di cose sbagliate ci siano dietro:

  1. Generalizza pazzescamente. La generalizzazione nella comicità non è necessariamente un male - di fatto senza generalizzazione sarebbe praticamente impossibile fare battute - ma quando porta al sostenere cose che sono semplicemente false, forse ci si è fatti prendere troppo la mano. Così come le comiche che non hanno altro nel loro repertorio se non ripetere come gli uomini siano mariti distratti e pensino solo a scopare (scopare SCOPARE... perché non ridete?) fanno alzare le sopracciglia quanto i comici che parlano unicamente di come le donne siano mogli puntigliose e insopportabili e soprattutto non vogliano mai scopare (scopare SCOPARE... perché non ridete?), la comicità sulla differenza fra i sessi è sempre esistita, esisterà ancora per molto e ha partorito e partorirà sempre perle.
  2. Da l'impressione che ci sia un sistema e che...
  3. Sia il pubblico che il comico siano più intelligenti del sistema stesso. Questo è forse il punto più delicato. Ogni volta che la Battuta viene pronunciata, c'è sempre un sottotono di comunella fra il comico e il pubblico particolarmente intenso, anche rispetto a battute simili; si ha come l'impressione, per dire, che esista una casta dell'arte che giudica e sancisce cosa sia arte o meno, senza il minimo criterio razionale. Ma più ancora di questo, l'implicazione maggiore è che esista un gran numero di persone che assume che tutto ciò che gli viene proposto come arte lo sia a priori; senza di nuovo alcun pensiero critico. Che il pubblico, e il pubblico soltanto, abbia sufficiente senso critico per disprezzare i monocromi blu e sempre loro, soltanto loro, abbiano scoperto questa terribile cospirazione per riempire i musei. C'è dello strano in questo, perché chi apprezza l'arte è di fatto quella fantomatica casta che la produce e la vende per milioni di dollari. E questa casta che, essendo appunto una casta, non può essere composta da moltissimi elementi, improvvisamente, e per la comodità del ragionamento, si espande all'insieme [popolazione generale - pubblico in sala e comico]. Diventa quindi chiaro, proseguendo col ragionamento, che se l'intera popolazione meno quella sala è d'accordo sul valore dell'arte moderna, la minoranza (la casta, eheh) sia di fatto il pubblico. Una massoneria, forse più che una casta, oppure, ancora meglio, un gruppo di revisionisti. Un gruppo di revisionisti che si rifiuta di accettare come...
  4. Se lo fai tu non conta. Ed è giusto così. Una delle risposte più sbrigative e brutali al classico: "eh ma questo potevo farlo anche io" (su cui poi tornerò), è il classico: "se è così semplice perché non lo fai e diventi milionario?". A questa risposta solitamente l'accusatore si appella a qualche forma di giustificazione su come l'opera in sé non abbia valore, perché tutto il valore glielo da semplicemente il nome di chi l'ha composta. Trovo questo genere di difesa specialmente peculiare. Intanto perché assume che qualunque artista di successo sia sempre stato congenitamente di successo, e in secondo luogo perché cerca di dipingere in una luce negativa qualcosa che è comunemente considerato positivo. Quando un liceale insulta il presidente del Consiglio, non ha nessuna rilevanza. Quando lo fa un rapper mediocremente famoso, i suoi fan ne lodano la lucida visione politica. Quando Mario Scroscio ha mal di pancia e decide di saltare pranzo, non frega niente a nessuno, ma quando Ghandi fa lo sciopero della fame la realtà socio economica di un continente viene sconvolta. Quando un liceale di sinistra critica il capitalismo non è nulla di nuovo, quando le stesse identiche critiche - pure peggio formulate - le porta un candidato alla presidenza degli Stati Uniti, si parla di rivoluzione. Di fatto, l'idea che un gesto abbia significati diversi a seconda della persona che lo compie, è un'idea talmente inconsciamente radicata nel nostro cervello che in pochissimi casi scegliamo razionalmente di andarci contro, e il nostro è uno di questi. Certo, si potrebbe argomentare che nella maggioranza dei casi ci piace che qualcuno di importante abbia fatto/detto cose che condividiamo per confermation bias, ma rimangono moltissimi gli esempi dove questo non si applica. Uno ci viene da quanto bizzarra sia la sensazione che ci da lo scoprire che due artisti che amiamo molto si disprezzano a vicenda. Oppure scoprire che qualcosa che ci è piaciuto molto sia stato massacrato da un critico di cui ci fidiamo e ammiriamo il giudizio.
  5. Da oggettivamente falsa, diventa soggettivamente vera. Immagino questo punto non sia colpa del comico o della battuta in sé, ma se una persona continua a sentirsi ripetere che tutta l'arte moderna fa schifo, perderà qualunque interesse a esplorarla e a trovare cose che avrebbe magari amato. Di fatto, questo rende la battuta una profezia auto-avverante, ci si culla sempre più nella propria ignoranza, rafforzando mano a mano la sicurezza di non starcisi perdendo nulla.
  6. È fatalista. Un'altra conseguenza del convincersi collettivamente che l'arte moderna sia tutta spazzatura, è che meno arte moderna venga prodotta, e che quindi i picchi della gaussiana della sua qualità si abbassino sempre più. In soldoni, meno artisti uguale meno possibilità di un grande artista, meno grandi artisti meno interesse per l'arte, meno interesse per l'arte meno artisti e avanti seguendo. È un ragionamento estremamente semplicistico, che non tiene conto di migliaia di altri fattori, ma rimane comunque valido.
In tutto questo, una delle domande che molto spesso dimentichiamo di chiederci è: ma che cosa piace alle persone dell'arte? Perché Caravaggio sì, e un monocromo giallo no? 
Di fatto ci sono moltissimi motivi per cui alcune cose vengono amate più di altre, dal rispetto per la maestria dimostrata dall'artista all'importanza della tradizione, ma questo pezzo non le toccherà neanche di striscio. Questo pezzo è una strenua difesa dei monocromi, dei sassi abbandonati sul pavimento, delle capre in gelatina, dei pezzi di costa impacchettati; di tutte quelle forme d'arte, insomma, per cui la persona media si gratta la pancia e, fra un rutto e l'altro, decide non abbiano nulla da offrire.

Visto che li ho nominati moltissimo, direi di partire proprio dai monocromi. Cari, vecchi monocromi.

Proprio loro.

Ho come l'impressione che uno dei motivi principali per cui siano diventati un po' il simbolo (resisto la tentazione di scrivere l'emblema), del perché l'arte moderna sia problematica, nasca interamente dalle didascalie e le descrizioni che li accompagnano.

Quando leggi che il pezzo di fronte a te rappresenta "la sofferenza della vita moderna, il tedio, la visione intrinseca di forma e definizione, l'incomprensibile leggerezza dell'essere, e soprattutto capitalismo cacca", e tutto quello che vedi è un quadrato verde, una certa reazione gutturale è più che prevedibile. Giustificata, direbbero alcuni, ed è qualcosa che parzialmente condivido.
Il punto è che se è difficile far accettare un'opera del genere quando si cerca di darle un'aura di venerabilità e profondità massima, lo è ancora più quando, più sinceramente, si riconosce che di profondità ne ha tanta quanta ne hanno i suoi pigmenti. E va bene così. Ed è precisamente questo il motivo per cui è straordinaria.

Now consider this:

Per quanto ammetta di aver riso più volte, il video solleva anche un paio di questioni cruciali sul perché l'arte moderna sia importante.


  1. È fatta per farti sentire stupido perché non riesci a capirla. Assolutamente no, di fatto è vero il contrario. Il senso di insicurezza nel vedere un affresco barocco che sei sicuro di non riuscire a replicare, il senso di insicurezza nel sentire una sinfonia che non riuscirai mai a comporre, scompare assolutamente nella semplicità del monocromo rosso.
  2. Non significa nulla, non ti fa sentire nulla. La prima metà verissima, la seconda più soggettiva, l'errore è credere che ci sia qualcosa di sbagliato in tutto ciò.

Perché allora? Se non significa nulla, che valore ha? È un complemento alla vita, puro e semplice.

Fermate il video a 4:40 circa, è quasi un quadro di per sé. Cosa vede un uomo che contempla la concentrazione innaturale di colore? Ci vede quello che vuole vederci, di fatto: i suoi problemi, quello che sta pensando al momento, quanto vorrebbe infilarsi nelle mutande della ragazza che lo contempla alla sua destra; qualsiasi altra cosa.
Quello che non pensa, o meglio quello a cui non viene costretto a pensare, è qualunque genere di grosso statement ideologico che l'opera avrebbe potuto fare. Affermazioni a posteriori sempre sbagliate, da cui l'arte si è liberata. Il monocromo è l'essenza dell'accompagnamento, dell'aggiungere estetica alla complessità intrinseca della vita, con cui l'arte evita finalmente il conflitto.
Niente più filosofia di parte, niente schieramenti, un unico rimarcare la bellezza e la complessità della vita di chi guarda. Le sue mille sfaccettature, il continuo oscillare del suo stato emotivo. Il monocromo è confortante, è scoraggiante; è tutto e il suo contrario. Esiste, semplicemente esiste, come tutto il resto. È finalmente, dopo millenni di evoluzione dell'arte, parte della vita.
Non è contingente, è disilluso dall'idea di trovarsi in un tempo speciale, di assistere ad avvenimenti speciali, è e basta e accompagna. È sul muro della casa a cui si ritorna, ma non è un quadro. Non è qualcosa che si aggiunge al muro e gli da connotazione, è parte del muro. È tanto muro quanto la pentola con cui mangiamo, le posate con cui tagliamo il cibo, i vestiti che manifestano parte della nostra identità, è organico a tutto.
È colore puro, geometria, forma.
Forma sopra al contenuto - qualcosa che siamo abituati ritenere sbagliato, qua non è solo giusto, è necessario.
È necessario fare un passo indietro, riconsiderare le possibilità di un rettangolo di rappresentare l'uomo o la vita, e fatta questa riconsiderazione, il monocromo è l'unica via di fuga. È l'unico modo degno di arrendersi, se di sconfitta si può parlare, quando per la prima volta nella storia, invece che combattere l'esperienza; commentare l'esperienza; criticare l'esperienza, si diventa parte dell'esperienza. 
Questo è quello che Caravaggio non ha, che Monet non ha, che non ha nessuno. E pace all'anima dei giochi di luce e buio.
Ah, dolce Sotheby,
La domanda successiva quindi non può che essere: ma se può farlo chiunque, perché pagarlo 75 milioni di dollari?
C'è una miriade di motivi per cui il mercato dell'arte è come è, dallo squilibrio informativo di acquirenti e fornitori, al mercato delle valutazioni progressive, alla sicurezza dell'investimento.
Ciò che ci interessa, per capire l'arte moderna, è capire quello che significhi concretamente acquistare un quadro.
Perché, ovvio a dirsi, fa strano che un quadro senza valore (artistico) sia dotato di un grande valore (monetario). Eppure è spessissimo così, senza che questo normalmente ci crei problemi.
Quelle che sfuggono a molte persone sono, o meglio sarebbero, le implicazioni del voler possedere un altro prodotto artistico senza valore, come può essere la serie di romanzi 50 Shades, nello stesso modo in cui si possiede un Pollock.
Significherebbe comprare: i diritti - ogni genere di diritti: libri, film sul libri. ecc; qualunque copia mai stampata, sia in stock che già venduta che in servo nelle biblioteche.
Non c'è bisogno della calcolatrice per renderci conto che un acquisto del genere farebbe sembrare i nostri 75 milioni dei bruscolini.
Se il prezzo di qualcosa non è tanto la misura del lavoro intrinseco in esso, come voleva il vecchio Adamo, quanto la misura del desiderio per il prodotto in funzione della sua scarsità, va da sé che un pezzo unico al mondo, per cui c'è grande desiderio, non può che costare, e costare parecchio.
Quello che fa storcere il naso a molte persone, probabilmente, è il vedere la realtà economica accostata a quella artistica.
Un quadro ha valore per quello che rappresenta, per cosa ci dice, non per quanto costa... no?
No. Di fatto è esattamente questo il limite che l'arte moderna è riuscita a superare.
Il prezzo è misura del desiderio, e il desiderio è forse il più umano dei sentimenti. Non c'è nulla che l'arte possa dirci, possa trasmetterci, che possa essere tanto grande quanto la vita, perché qualunque cosa essa sia, sarà sempre parte della vita, e l'unico modo in cui un'opera d'arte può diventare vita, vita per gli uomini, è solo assoggettandosi alle sue regole. Una delle quali è la brama, il desiderio.
Non vorrei continuare a ripetermi, ma c'è qualcosa di terribilmente, romanticamente poetico, in questo.
È la barca che, dopo millenni di fatica, finalmente aggiusta la prua per farsi spingere dal vento. È la perfezione - nello stesso modo in cui gli alberi o gli animali sono perfetti: non perché trascendentali, ma perché semplicemente parte naturale del tutto.
Così è giusto, è giusto che quello che gli uomini più si contendono abbia un costo maggiore. E non solo, è anche estremamente egalitario: perché se è vero che quasi nessuno può permettersi quel specifico monocromo, esso non ha nulla, veramente, genuinamente, profondamente nulla in più del monocromo che ci si può dipingere da soli.

È un appiattimento della qualità?
Il buon Max. A fumetti. I 
fumetti sono un prodotto
del capitalismo... spooky...
Max Stirner direbbe probabilmente che la qualità è uno spook, uno spavento, una distrazione inventata dalla società per allontanarci dal perseguire il nostro genuino Egoismo.
Senza approfondire oltre, forse è vero. Di fatto molti criteri di giudizio spariscono. Sparisce la competenza tecnica rispetto a norme prefissate. Sparisce la cura per il dettaglio, spariscono molte cose.
Il punto è: ci mancheranno?
Non sono sparite, non sono scomparse, vivono nel lavoro di artisti come Grayson Perry: lavori che vivono di satira sociale e politica, di forme di impressioni. Di nulla di ciò che un monocromo, una grafica, sono nati per fare e rappresentare.


Exclusion From Number 8 Heaven Close, Grayson Perry.




E se anche non fosse? Se anche fossero intimamente simili? Se il quadro qui sopra non volesse dire assolutamente nulla, al di là della scena letterale che rappresenta, se non fosse richiesta alcuna abilità o tecnica per replicarlo?
In quel caso sarebbe solo un'altra forma di monocromo. Una forma più articolata, più variopinta. E sarebbe ancora più bello.