mercoledì 30 novembre 2016

Nanowrimo 2016. Na mezza fregatura.

Altro anno, altra promessa di partecipare al Nanowrimo con passione e dedizione.

Il nanowrimo, o national novel-writing month, è un'iniziativa no profit che invita persone da tutto il mondo a tirare fuori il loro romanzo dal cassetto. L'obbiettivo è quello di realizzare 50k parole nel mese di novembre. 200 pagine circa; un romanzo. Non si vince niente, non ci sono controlli, ciascuno sfida se stesso per il solo e unico piacere di sfidare se stesso.

Sono anni che mi riprometto di partecipare e inevitabilmente fallisco. Quest'anno, con circa 50 pagine semipronte, non sono mai stato così vicino dal raggiungere l'obbiettivo. Qui c'è l'incipit del romanzo, che magari un giorno romanzo lo diventa davvero.

Introduzione. Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi.

Dai titoli degli articoli di parecchi giornali - pure di quelli autorevoli -, si viene a scoprire come ogni sostanza che si possa mangiare; bere; respirare o vestire; ogni attività che si possa intraprendere o di cui si possa essere vittima; tutto, insomma, è allo stesso tempo causa e inibitore del cancro. Ovviamente che questo sia vero o meno non ha alcuna importanza. Non importa che, quando vero, si stia parlando di percentuali talmente irrisorie, sia in un verso che nell’altro, da rendere lo stress che causa preoccuparsene - e la maggiore possibilità di contrarre il cancro in quanto stressati - un pericolo ben più grave. Non importa nemmeno quando le informazioni sono banalmente errate, o contraddittorie, così che la stessa sostanza causa e previene il tumore. Non importa nulla di tutto questo agli occhi di chi ha un cancro. Quello che importa è che ogni cosa, nella visione allarmistica e delirante dipinta dai quotidiani, ogni cosa ha tanto a che fare con il cancro come con la vita. Tutto ciò che esiste influenza entrambi, e allora l'uguaglianza sorge spontanea e potente. È la vita stessa il cancro.

Quando mio padre contrasse il cancro avevo sedici anni. No, quando il cancro di mio padre si ripresentò, quattro mesi dopo. Quattro mesi di terapia intensiva dopo. E quando si presentò sotto forma metastatica, credo si chiami così, ma insomma in una forma che non ci volle molto a farci intuire che non si tornava indietro, non ebbi una grande risposta emotiva. Probabilmente per quanto a lungo stava andando avanti la cosa. E che è interamente colpa sua. E mi rendo conto di essere assolutamente disgustoso nel dire questo. Cioè nel dire che non mi ha portato a nulla. O meglio che non mi ha causato nulla di tutto quello che ci si aspetterebbe da un figlio quando un figlio - che sarei io - viene a scoprire che suo padre ha un cancro. Ma tanto per cominciare non è vero. Nel senso che lo sapevamo, lo sapevamo già da parecchio. E subito dopo mio padre se l’era meritato. Non perché fosse una cattiva persona. No, aspetta, fammi rifare, non posso dire che se l’è meritato. Non sono disumano, lo giuro. Il punto è che cagava sangue, ok? Sì, fa schifo a dirsi ma è vero. Cancro rettale. Ha fatto passare dei mesi prima di dire qualsiasi cosa a qualcuno. E nel frattempo cagava sangue. Che già è grave. Voglio dire, è grave come sintomo quando arrivi a farlo. Il cancro ce l’hai già da un bel pezzo quando inizi a cagare sangue. Ma se non è quello un segnale per farti vedere non so cosa ti debba venire, francamente. Sembra una roba uscita dal vecchio testamento. E quindi il Signore sollevò la mano destra, e questo era giusto, e vennero a Lui tutti gli angeli, e Lui disse: “quello stronzo cagherà sangue, almeno forse lo capisce che deve andare a farsi vedere”. Più o meno. Quello che è importa è che mio padre no. Era talmente impossibile ammettere un qualche malfunzionamento in una cosa così intima come poteva essere il suo buco del culo, che ha preferito. No, non è che abbia preferito. Diciamo che ha scelto. Involontariamente. Insomma ha scelto di non voler dire nulla perché ecco. Si vergognava. Si dice morire di vergogna. È un modo di dire. Per mio padre è stato vero, in un certo senso. Sembra che ne sia quasi divertito. Non lo sono. Il singolo momento peggiore della mia vita è stato il ritorno. Perché per fortuna abitavamo vicino a uno dei migliori centri oncologici del Paese, e mio padre aveva soldi e assicurazione e cazzi e mazzi. Insomma gli abbiamo fatto - si è fatto fare - qualunque forma di trattamento all’avanguardia che non sai nemmeno che esiste finché non te lo propongono. E sembrava aver funzionato. Mio padre aveva iniziato a non avere molti più capelli, da ben prima della chemio, ed era arrivato quasi a scherzarci. Tornava dall’ospedale pallido come la wii con cui giocavo spessissimo e diceva ridendo che finalmente non doveva più farsi dissanguare dai parrucchieri. Non gli sono mai piaciuti i parrucchieri. Insomma ci rideva sopra, questo è il punto. Aveva accettato, quinta fase e tutte quelle cose. E stava migliorando di giorno in giorno. Al punto che la chemio non sembrava quasi più necessaria. Cancro: sconfitto. Se non che quattro mesi dopo si sente di nuovo male. E il cancro è tornato, ed è in fase quattro - la metastasi. Mia madre ha insistito perché vedessi qualcuno dopo che è morto. Così, per stare sicuri. Non che avessi anche io il cancro. Alla testa. Non il cancro alla testa. Che stessi bene alla testa. Danni irreparabili può fare, aveva detto, imitando la voce di Yoda. Forse quest’ultima parte me la sono appena inventata. Insomma mi mandano da quel signore che mi dice che è un bene che riesca a parlarne così. Così come? Così francamente e apertamente, mi dice. Un fatto terribile, davvero, signorino (mi chiama signorino), ed è proprio un buon segno (dice proprio un buon segno) che lei riesca a parlarne così apertamente e liberamente. E francamente. Francamente non è che io lo facessi apposta. E continua a sembrare che non mi freghi, cazzo. In verità mi frega molto. Mi è fregato molto. Quando a mio padre è tornato il cancro ha reagito molto differentemente da quando gli è venuto. Se prima aveva praticamente negato tutto. Cioè non ne voleva sapere di cose e case e film tristi su adolescenti molto attraenti che muoiono di cancro. Voleva spassarsela, divertirsi. Andava a giocare a bowling. Nota mentale #1: mio padre non aveva mai giocato a bowling in vita sua, prima di quel momento. Ricordo l’avesse definito: “una merdata americana. Sono riusciti a inventare uno sport in cui non ti devi manco muovere. Segue risata”. E usciva spessissimo e faceva l’amore con mia madre. Non chiedetemi come lo so, perché è un altro trauma che devo superare. E la seconda volta. Cioè quando il cancro è tornato in forma metastatica. Cioè insomma quando non si facevano predizioni sugli anni, ma sui mesi. Cioè in quel caso allora ha avuto come una reazione che boh. Diciamo che aveva avuto sfiducia totale nei confronti dei medici e dell’equipe e di chiunque tentasse di aiutarlo e aveva deciso di fare da solo. Prendi un bel respiro: aveva deciso che, indifferentemente dal fatto che se poteva sapere di stare male, e i dettagli più minuti di come stesse male, questo era unicamente merito dei medici, i medici erano assolutamente incompetenti nel loro lavoro e nello sforzo di curarlo, così che ci avrebbe pensato lui, ecco, e per pensarci doveva trovare una cura che fosse filosofica, più che pratica, cioè aveva deciso, parola per parola, che risolvere il problema era un problema di prospettiva, cioè che la percezione della realtà del problema, pro lemma, era proprio priva di parti percepibili, questo prima, e la sola possibilità di privarsene (credo che questo soggetto sottinteso qui sia il cancro, credo) era affrontare la questione da un nuovo angolo. Quello della fisica dei quanti.

Dovrei saperlo meglio, ma non ho mai seguito molto fisica, in classe. Ho anche fatto lo scientifico, quindi mea culpa. Ma mio padre aveva scoperto - nel senso che si era accorto che esisteva, non che l’avesse effettivamente scoperto lui - qualcosa che aveva detto Laplace. Credo sia Laplace, non mi citate su questo. E cioè questa idea che non c’è un motivo preciso per cui una qualunque particella subatomica del tuo corpo si trova e resta precisamente dove si trova ed è restata finora. Vale a dire che è possibile, in qualunque istante, che una parte intera del tuo corpo si sposti compatta a cento anni luce di distanza. O che si disintegri e si sparpagli in tutte le direzioni. Qualcosa del genere. È tutto vero, penso, ma andrebbe espresso in termini più rigorosi. E il motivo per cui il tuo corpo rimane bello compatto e immobile, secondo dopo secondo, è che è vero che potrebbe succedere (il teletrasporto) ma è così poco probabile che forse non è ancora mai successo nella storia dell’universo. Però la possibilità non è zero. In quest’ottica (che vorrei saper esprimere meglio e in termini più tecnici - cioè togliendo tutta la magia del dire wow teletrasporto) la vita e tutto quello che siamo non diventa altro che una nuvola di probabilità. Cioè che siamo costantemente tenuti attaccati, letteralmente, da una probabilità che viene testata ogni istante che passa, e che è pura fortuna il non dissolversi in un istante qualsiasi. Come il cancro. Esatto. Non puoi mai sapere quando un cancro in metastasi andrà a corrompere un altro organo, ed è per questo che i tentativi di contenerlo non sono efficaci. Ogni giorno potrebbe essere il giorno in cui prende il giro nel sangue e te lo ritrovi nel cuore. O nei polmoni. O nel cervello. Così come potrebbe essere il giorno in cui si verifica quella infinitesima, microscopica possibilità che alcune particelle subatomiche del tuo corpo non rimangano dove dovrebbero stare (almeno secondo il tuo soggettivissimo punto di vista di coscienza che ci tiene a non perdersi una mano) e la metà sinistra del tuo cranio si spacchi e finisca istantaneamente su Marte e Plutone.

Insomma per farla breve, perché che ci crediate o meno non siamo qui a parlare del cancro di mio padre. Lo so, lo so, mi dispiace. Per farla breve in quei due mesi aveva studiato e capito tutto questo. Con tutti i simboli e i termini tecnici del caso. E quelle tecniche sperimentali di cui parlavo stavano funzionando. Cazzo. Il tumore era lungo otto centimetri quando aveva iniziato, e dopo due mesi e quattro trattamenti diversi l’aveva ridotto a sei. Se i dottori fossero stati spregiudicati e avessero voluto fare del gioco d’azzardo sulla sua vita si sarebbe puntato ancora contro, ma la speranza non era inesistente. E in quei mesi mio padre andava avanti con i suoi studi e alla fine dei suoi mesi aveva dichiarato di aver capito. Cioè aveva capito che lui avrebbe sfruttato l’energia delta. L’energia delta non è molto diversa dalla forza di Star Wars. Mio padre aveva tutta una serie impressionante di foglietti del cazzo per spiegare come l’aveva scoperta e calcolata e aveva imparato a manipolarla. Ma insomma la forza delta del cazzo gli permetteva di esercitare una sorta di “pressione” sulle particelle. Uso le virgolette perché me le aveva fatte con le mani mentre cercava di spiegarmi fanaticamente e senza voce come funzionasse. Non avevo studiato, non avevo letto, non potevo capire. Almeno secondo lui. E mentre mi spiegava come cazzo funzionava tutta quella roba, e in pratica poteva manipolare l’energia delta per tenere attaccate le cazzo di particelle. Avrebbe azzerato la “possibilità”. Come facevo a non capire?! Come facevo a essere così stupido, cazzo?! Certo che c'entra, imbecille. Se posso azzerare la possibilità posso operare ugualmente a livello macroscopico, e permettere al cancro di rimanere lì dove si trova. Ho il controllo, lo capisci che ho il controllo?

Non abbiamo potuto impedirgli di interrompere la cura. Legalmente, voglio dire, perché ci abbiamo provato. E due settimane dopo averla smessa è morto.

Sono un mostro a parlarne così? Non credo. Mi dispiace per lui. Mi è dispiaciuto davvero, lo giuro. Mi è dispiaciuto al punto da avere mentito. Non avevo sedici anni quando è morto, ero molto più piccolo. Avevo appena finito le medie. Mi sembrava che l’avrei reso più umano se gli avessi messo la responsabilità di essersi ucciso, sostanzialmente, con un figlio praticamente adulto e non ancora quasi in fasce. Ma ho detto che non siamo qua per parlare del suo cancro, e non ho mentito.

Cito tutto questo perché mio padre è morto di cancro poco prima che finissi le medie, e il nostro avvocato aveva trovato una serie di piccole imperfezioni. Di sbadatezze, si può dire. Nel modo in cui era stato gestito dalla clinica. Il trattamento era stato di qualità eccelsa, lo ripeto, ma non impeccabile. Un paio di turni in cui era sotto osservazione. A metà notte, sostanzialmente. In cui gli avevano scritto che doveva essere tenuto sotto sorveglianza visiva. Ecco, avevamo dalle telecamere di sicurezza la prova che un’infermiera si era assentata più volte. Credo per farsi una sigaretta ogni tanto. Questa è una delle cagate. Ce ne sono state tante, però, nel periodo in cui è stato male. Poi che schifo fumare in quel contesto. Va beh. Lo so, lo so, la sto tirando per le lunghe. Il punto è che dopo la morte non avevamo granché, economicamente parlando. Mia madre insegnava geografia al liceo, e il grosso dei soldi li faceva mio padre. Eredità e tutto non eravamo poveri. Ma diciamo che non avremmo mantenuto lo stile di vita che avevamo. E insomma, ok, ok, chiudo tutte questo cazzo di parentesi, e insomma il punto è che dopo la sua morte il nostro avvocato viene da noi e ci dice che ha guardato il materiale (parole sue) e crede che ci siano gli estremi per fare una causa alla clinica. Mamma e bambino rimasti soli. Nessuno ci farebbe mai perdere. E anche perdessimo non ci farebbero mai pagare le spese. Mia mamma l’ha mandato a fanculo.

È un po’ difficile prendere seriamente la mole enorme di grottesco assurdo che c’è in tutto questo. Nel cancro e le stronzate sull’energia delta e i dettagli schifosi che non ho detto. Come che l’abbiamo trovato che si era cagato addosso, ed era morto nel suo ufficio da un bel po’ di ore. E puzzava di merda e di morto. Che non consiglio a nessuno. È un po’ difficile comunicare che non pensavo mi sarei mai ripreso da quel momento. È un po’ difficile comunicare quanto cazzo sia stato male. E ringrazio che mi abbiano fatto vedere delle persone. È tutto molto difficile e ovattato, come fare un esame dentro una lavatrice. Che esempio del cazzo. Amavo mio padre, non più di qualunque altro figlio con un rapporto sano con suo padre, ma neanche di meno.

E questo è il momento in cui apro un’altra parentesi, che mi porterà a risolvere la parentesi di prima, che mi porterà, a sua volta, a iniziare il punto principale. Pazienza.
Abitavamo, allora, in una delle città più grandi e affluenti, culturalmente parlando, del mio Paese. Entra in scena Carlo Abbati. Sì, quello famoso, proprio lui. Il punto qui, è che Abbati aveva avuto, in quegli anni, una specie di crisi mistica da blocco dello scrittore. Aveva tirato fuori un piccolo delirio esistenziale su come quanto avesse fatto fino a quel momento non era che una piccolezza - un gioco, sì, e un gioco che non poteva continuare. Sono le sue parole, mi sembra. Cazzo ne so. Insomma il vecchio Carlo non riusciva più a scrivere, e per occupare le giornate si era fatto dare una classe di liceo in un liceo privato della mia città. Forse i punti sono già abbastanza da poterli collegare. Il liceo che chiameremo Manzoni, che non è il suo vero nome, ma perché ci torna. Ci torna comodo avere un nome, per farla breve. Al Manzoni si è sempre speso un puttanaio di soldi. Detta con brutale onestà. È così ed è vero. E figuriamoci negli anni in cui ci insegnava Abbati. Botta di pregio, e botta alle rette. Morale della favola. Allora mi piaceva molto scrivere. O almeno credevo. Diciamo che piaceva più a mia mamma che a me. E diciamo anche che mia mamma ha sempre avuto la tendenza a proiettare su di me quello che voleva che facessi e quello che avrebbe voluto fare lei se fosse stata al mio posto. Che è un orrendo cliché di cattivo parenting, ma nel nostro caso era vero. E diciamo pure che io ero un bravo bambino che faceva i suoi compiti e provava un certo livello di soddisfazione e gusto interiore a dimostrarmi bravo davanti a loro. E poi diciamo che mia mamma aveva visto e capito e incoraggiato questa cosa che io scrivessi. Che non mi piaceva veramente, e a cui non ero bravo. Che non fossi bravo lo ho capito poco dopo, ma ci arriviamo. Con calma, cazzo. Diciamo allora che la notizia che Carlo Abbati finisce su un giornale. La notizia che insegna nella nostra città. E diciamo che il giornale finisce sul tavolo della nostra cucina. E diciamo che siccome mia madre mi aveva incoraggiato sempre a leggerne qualche pezzo perché mi avrebbe aiutato a migliorare, diceva, diciamo che lo faccio. (concludendo, più o meno) Diciamo che leggo l’articolo e chiedo chi sia Abbati. E diciamo che mia mamma se mentre scopava con mio padre non urlava il nome di Abbati, invece del suo, poco ci mancava. E diciamo che me ne parla, e io nella crudeltà ingenua dei ragazzini le dico che vorrei proprio fare quel liceo, quella classe. E diciamo (già) che mia mamma si entusiasma all’idea salvo poi ingoiare la saliva al pensiero della retta. E diciamo, infine (questa volta davvero), che allora l’immagine dell’avvocato le riemerge nel fondo della scatola cranica, e questa è la storia di come abbia mentito in tribunale prima dei miei quindici anni, di come mi sia presentato con gli occhi arrossati e delle lacrime non credo nemmeno mie, tanto per fare più pena, e di come siamo diventati relativamente ricchi, e di come mi sono ritrovato, pochi mesi dopo, in classe con Carlo Abbati.

Ferma ferma ferma. Ok, so cosa si potrebbe pensare. Non c’erano dei test in ingresso, delle selezioni? Sì, e li ho fatti e li ho passati. Forse non sono tragico come ho appena detto. Diciamo che il costo era un po’ un deterrente, e diciamo che ho la tendenza sminuirmi. Me l’ha detto un’altra persona che ho visto alla fine dei miei venti, non sono parole mie. Continuo a credere che siano stronzate. Ma forse no. Riprendiamo.

Perché questo ci porta direttamente all’inizio, e cioè durante i miei sedici, nel terzo anno di sopravvivenza in quell’inferno, e l’ultimo anno che Carlo Abbati avrebbe passato a insegnare al liceo.

Quanto ho appena detto è una stronzata, perché cominciamo precisamente l’anno prima, l’ultimo giorno di scuola.

sabato 12 novembre 2016

Dieci ottimi motivi per smettere di protestare la t.a.v

1) avete rotto i coglioni.
2) non serve a niente: il motivo per cui i cantieri si fermano è che ci sono litigi fra le responsabilità delle autorità locali, non il vostro andare a rubare due chiodi di notte o scrivere libri coi Wu Ming.
3)ma sopratutto...
4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10) avete rotto i coglioni.






sabato 22 ottobre 2016

Decalogo del manifesto del movimento berlusconiano.



Articolo I.

Noi crediamo che la vita sia intrinsecamente e moralmente costituita dall'esperienza. E che sia, e ne consegua, intrinsecamente legata al piacere e al dolore. Così che questi si possano dire, oggettivamente e naturalmente, i metri di giudizio dell'esperienza.

comma all'art. I

Noi crediamo, vale a dire, che si possa definire "naturale", o "giusto", o "secondo natura", cioè che è tale soggettivamente. Che dal momento in cui qualunque forma di espressione, sia in entrata sia in uscita, è alterata e deformata dall'individualità, la questione della vera natura delle cose si rende spuria e perde di significato. Non che i gradi di corruzione non esistano. Non crediamo che ogni montagna o abisso siano ugualmente alti o profondi. Solo che, in termini assoluti, è impossibile rimanere incorruttibili. In questo senso affermiamo con vigore la nostra fede nell'importanza dell'esperienza.

comma secondo all'art. I

Conversamente crediamo, consapevoli di non poter mai avere una risposta sicura alla nostra fede, che esista una reale e oggettiva natura delle cose. Che esista anche una verità intrinseca, e una risposta precisa ed esaustiva a tutti i quesiti fondamentali della filosofia. Ma crediamo che questa risposta, se conoscibile, non sarebbe mai comunicabile, perché nella comunicazione verrebbe mediata, e mediandosi perderebbe interamente il suo significato.

Articolo II

Stabilita quindi l'esperienza, e la consistenza dell'idea di "giusto", e di "sbagliato", noi crediamo che giusto sia l'accumulo, lo sforzo verso la collezione dell'esperienza, e sbagliato sia il suo contrario. Ugualmente crediamo che, perché la raccolta di esperienza sia soddisfacente, essa deve contenere, in misura considerevole, ciò che chiamiamo piacere.

comma all'art. II

Definiamo piacere come ciò che è soggettivamente gradito al soggetto dell'esperienza.

comma secondo all'art II

La brevità del comma I non è casuale, e dovrebbe venire considerata. Esso non include casistica né eccezioni, e in questo crediamo.

comma terzo all'art II

Crediamo, cioè, che la ricerca del piacere sia moralmente auto-giustificata, e che essa abbia il diritto/dovere di prevaricare la libertà altrui. Non siamo contrari al rispetto della legge, ma non fingiamo di trovarla giusta. La legge è una sovrastruttura, e un binario. All'interno di essa ci troviamo come in autostrada, e molto del piacere sarà su di essa, indubbiamente, ma molto altro si trova e si troverebbe qualche metro oltre il guard-rail. 

Articolo III

Qualora la ricerca del piacere sia ostacolata, nei mezzi e nelle misure della giustizia o dell'ingiustizia, la prevaricazione sarà probabile e naturale. All'interno o all'esterno della legge a seconda dei casi. 

Articolo IV

L'edonismo è un umanismo.

Articolo V

"Il peso delle conseguenze", è un costrutto sociale.

comma all'art V

Crediamo in maniera coscienziosa e prudente all'idea di costrutto sociale. E che debbano esserci argomentazioni forti per reputare un credo, una convinzione preesistente, un costrutto sociale. 

comma secondo all'art V

Ma in questo caso siamo sicuri. Le conseguenze sono temporanee, come tutto, e il loro tempo è breve. Le conseguenze non esistono alla stessa maniera in cui non esistono i periodi o le età della vita.

Articolo VI

Anche la depravazione, o la morale, sono costrutti sociali.

Articolo VII

Spiritualità e interiorità sono scelte. Alla stregua del colore dei propri vestiti. Non portano o sottraggono valore.

Articolo VIII

La lotta umanitaria è per la diffusione del piacere. Per la sua liberalizzazione. Per la sua accettazione.

Articolo IX

La scelta più efficace e diretta, ci sembra, per la diffusione del piacere, è la lotta politica. 

comma all'art IX

La diffusione del piacere non solo nella popolazione, ma direttamente in chi pratica l'attività politica.

comma secondo all'art IX

Non vi è fine alla lotta politica, così come non vi è fine alla ricerca del piacere.

comma terzo all'art IX

La lotta politica è causa di piacere. Se non lo è, va abbandonata.

comma quarto all'art IX

Ogni atto di amore politico è un atto di amore per se stessi.

comma quinto all'art IX

"L'Ètat c'est moi!" non è una pretesa, è una necessità.

Articolo X

I rumori e i sofismi svaniranno a un tempo. Tutto sarà calmo. Nei ricordi un consumo, e la carne. Il cibo e il vino. Il sonno. Il successo. Nei ricordi ci sarà un solo colore. Ciò che è stato è stato piacere, e il resto non è. C'è chi nasce per servire la legge, e non troverà mai sollievo. C'è chi nasce per fare la legge, e la propria soddisfazione sarà misera e fondata nel flagellare gli altri. E c'è chi nasce per stare sopra la legge, e saprà portare a compimento la necessità universale della ricerca dell'esperienza.



















sabato 8 ottobre 2016

Il reddito di cittadinanza, ovvero l'argomento che tuo zio Carlo continua a ritirare fuori, dopo mezza bottiglia di grappa, a ogni pranzo di Natale.

Il reddito di cittadinanza è indiscutibile, in Italia, perché è stato proposto da un partito polarizzante, e quindi se si è a favore si è stronzi e se si è contrari si è stronzi uguale.

Per cui da questo momento in poi mi riferirò a esso con il nome di Basic Income, o b.i, nella speranza o l'illusione che sembri meglio.

Tanto per cominciare diamo una bella definizione: che cos'è il b.i.? Il b.i. è una teoria economico sociale secondo cui è responsabilità diretta di uno Stato garantire la sopravvivenza e delle condizioni di vita dignitose ai suoi cittadini, a ciascuno di essi. Per raggiungere questo obbiettivo, il metodo più efficace concepito finora (o quantomeno il più pratico) è stato quello di garantire una mensilità a chi non ha reddito o patrimonio proprio.

Fino a qui tutto bene. Forse. Sento le urla disperate dei liberali di tutto il mondo fin dal terrazzo di casa mia.

Le radici del b.i. si possono far risalire fino ai tempi della rivoluzione francese, o almeno questo sostiene wikipedia, così come si sono spesi sul tema un gran numero di autori, come di nuovo suggerisce wikipedia.

La domanda fondamentale è sempre la stessa però, al di là della sua sostenibilità economica: il b.i, è giusto?

È davvero responsabilità dello stato fare sì che tu non muoia di fame o di freddo e che non ti manchino i soldi per vestirti?


Partiamo da una premessa: a me lo Stato piace.

È difficile ammetterlo, lo so, e forse è solo perché non mi ha ancora dato abbastanza problemi, ma mi piace. Nonostante i comuni chiudano a mezzogiorno ed è già tanto che facciano i weekend, nonostante le poste abbiano tempi biblici, nonostante i ministeri espropriano e fanno prelazioni e pagano poco e quando gli pare; nonostante farsi fare un documento è un'impresa. Nonostante tutto, lo Stato mi piace.

Mi piace l'idea che ci sia qualcosa di più grande di ognuno di noi che regge e governa e regola.

Il fatto è che se hai mai pensato "ecco, guarda lo Stato che pensa di sapere meglio di me come si deve fare [cosa legata al tuo lavoro]", probabilmente sei fuori dal target dello Stato. Ne sei una vittima. Ma sei nella minoranza.

Per citare mio padre: "Giulio, lo capirai crescendo, l'umanità è essenzialmente composta da una massa di coglioni". E approfittando dello stratagemma per riversare - una volta tanto - le accuse di essere uno stronzetto pretenzioso su qualcun altro, ecco spiegato qual è il target dello Stato.

La massa di coglioni.

Il blog è mio e posso essere edgy quanto voglio, gnè gnè gnè

Sono ovunque attorno a te.

Persone che non saprebbero gli ingredienti di pane e nutella se non potessero guardare la ricetta.

Persone che confondono "la realtà è questa", con "sento che la realtà sia questa".

Persone che non sanno, nella maniera più assoluta, come perseguire il proprio stesso bene.

Persone che hanno votato e avrebbero continuato a votare Berlusconi perché "eh, almeno con lui le tasse erano scese".

Senza direzione, senza prospettiva a lungo termine (che almeno nei vecchi è giustificata, nei quarantenni no). 

Loro. Loro sono l'umanità, e Dio ce ne scampi se non hanno bisogno di uno Stato non con due coglioni, con duecento.

Perché ci sono loro da un lato della barricata, e dall'altro ci sono multinazionali con team di marketing a tre cifre nel personale, con stormi di avvocati com'esuli pensieri nel vespero denunciar.

Ci sono loro e c'è un piccolo esercito delle menti più feroci, aggressive e crudelmente geniali che l'economia riesca a sfornare, il cui unico scopo è massimizzare il proprio profitto a scapito di tutto il resto.

Mi rendo conto di aver dato un po' un tono apocalittico al tutto, ma la realtà non è molto diversa - la crudeltà non si vede perché ha cambiato continente (per la maggior parte), e ne godiamo dei benefici.

La differenza fra me e quei ragazzi che rifilano lotta comunista fuori dai licei è che io sono perfettamente ok con il beneficiarne.

Ma se la sofferenza si è spostata è merito dello Stato. E lo Stato è l'unica garanzia che non ritorni.

In cambio abbiamo avuto la disoccupazione e una percentuale di tassazione che tende sempre più alle tre cifre.

Un brutto compromesso, ma un compromesso che ho l'impressione sceglieremmo ogni giorno se avessimo sperimentato a pieno l'alternativa. 

Per cui la domanda della giustizia etico/sociale del b.i si trasforma, a conti fatti, nella misurazione del quoziente individuale di misantropia. Che è quasi sempre molto alto. O per meglio dire, equivale a rispondere alla domanda: quanto se lo meriterebbero gli altri?

Praticamente solo chi ha finanziato con successo il proprio gioco di carte sui nazisti come ragazzine anime o la cura del proprio tumore con una campagna di kickstarter ha un'alta opinione dell'umanità. Loro e i preti. Forse. Al punto che il paradosso di tutti che pensano male di tutti gli altri fa sì che, se pensare male delle persone ti rende una brutta persona, questo si auto-avveri.

Il che non significa che siamo tutti ugualmente male, ovvio, quanto piuttosto che il b.i., per ciascuno di noi, sarebbe giusto solo per noi stessi e i pochi amici nostri. Il che di nuovo porta al paradosso che se siamo tutti a pensarla così, individualmente lo reputiamo tutti quasi assolutamente sbagliato (con quel quasi fatto da i sopracitati) ma di fatto collettivamente lo reputiamo assolutamente giusto.

Il problema principale del b.i., di nuovo, nella nostra percezione, è il suo cozzare con l'idea ineluttabile che ci viene ripetuta fin dall'infanzia da tutti i tipi di autorità, costantemente, che nulla sia gratuito. Figuriamoci uno stipendio. (alla massima di sopra qualcuno ha aggiunto che di fatto di gratuito c'è la vita, e che si paga con la morte).

Ma non è questo forse il suo limite filosofico/sociale. Forse è quello di creare due tipi diversi di lavoro.

Sono un gran sostenitore, per inattuale che sia, della definizione data da Smith. Il lavoro e il suo prodotto - cioè la moneta - sono espressione della capacità del soggetto di comandare il lavoro altrui. C'è qualcosa di squisitamente illuministico e umano nell'idea insista della collaborazione. Ciascuno, con il proprio lavoro, consiste essenzialmente agli altri di svolgere il proprio. Il lavoro di ognuno contribuisce a dare senso, in questo modo, alla passione degli altri, e tanti più sono i lavoratori, tanto più una comunità può dare libero spazio alle volontà più diverse di esprimersi. Che è più o meno come funzionano realmente le cose.  

Il b.i. crea un buco essenziale in questo. Vale a dire che se è molto chiaro come un lavoro permetta di ordinare altro lavoro (io ho faticato per fare questo e in virtù della mia fatica posso chiedere di faticare a te) la giustificazione viene molto meno quando la moneta che si sta utilizzando è stata creata artificialmente. Una delle due parti coinvolte nello scambio sta mettendo qualcosa di diverso - qualcosa di meno.

Non è irrealistico pensare che l'introduzione del b.i. creerebbe una sorta di sdoppiamento nel denaro, dove chi ha compiuto sforzi per guadagnarlo non accetterebbe mai che venga paragonato a quello ottenuto senza fatica, chiedendone la svalutazione. E la svalutazione continuerebbe fino a che garantire quello standard di vita minimo non sarebbe più possibile, e tutto il senso di avere un b.i. scomparirebbe con esso.

Quindi forse il problema del b.i. non è tanto esso stesso, quanto il modo in cui è stato pensato.

Come si è detto, la mensilità è una soluzione molto pratica. È veramente pratica, perché non necessità di alcuna modifica al sistema economico preesistente. Ma non è necessariamente l'unica.

C'è un'alternativa capace di fornire gli stessi beni e servizi della mensilità, senza dover coinvolgere in alcun modo il denaro.

E che è capace di non turbare, allo stesso tempo, quelli che continuerebbero a lavorare.

E questa soluzione è semplicemente quella di applic










domenica 25 settembre 2016

Apologia della(e) Chiesa(e) e delle religioni in generale.

Salmi 58:3

Gli empi sono estraniati [fin] dal grembo,
e dal grembo si allontanano,
diffondendo la menzogna.

Qur'an 11: 105

fa-minhum shaqi wa-sa'id 

Fra loro vi sono sia i dannati che i felici.

toglietemi Paint per favore

Da ateo convinto mi trovo sempre più spesso a prendere le parti, nelle utilissime e risolutive discussioni online, di questa o quella Chiesa; di questo o quel credo. Non ho nemmeno idea di come succeda. Forse è il rigetto automatico e uniforme di ogni declinazione della stupidità, forse è l'amore per i giochi di ruolo, fatto sta che nonostante non mi paghino, mi trovo spesso a fare il templare. (p.s. se qualcuno volesse pagarmi vengo via con poco; che ne dici Francy, eh? eh?)

Per cui mi sembrava proficuo riassumere qui, in una sorta di lungo e conclusivo Q&A, tutte le cose sbagliate che ho sentito dire sulla religione negli ultimi anni. Non che abbia la speranza di mettere a tacere nessuno, ma almeno quando sentirò il prurito di rispondere mi basterà fare copia e incolla a questo link.

Ora se tu, ipotetico lettore, sei stato reindirizzato qua dalla mia mancanza di voglia di argomentare, lascia che ripeta e metta molto, molto in chiaro un'ultima cosa. Io. Non. Sono. Religioso. Non ho praticamente amici che lo siano; non sono pagato da nessuno. Non ho amici preti. Non prendo porzioni dell'otto per mille; non vivo in un appartamento di proprietà della Chiesa. La mia spiritualità è limitata alla venerazione di Wallace e di un ristretto club di scrittori vivi e morti. Senza contare che ho il forte sospetto che se esistesse un Dio, gli starei sul culo. Non ho motivazioni particolari per quest'ultimo statement, chiaramente, è solo una sensazione.
Reitero e riassumo: non ho quindi alcuna motivazione personale; non ho alcun interesse a difendere nessuno. Non me ne viene nulla in tasca, se non l'ego-boost a sapere di essere stato intellettualmente onesto ad aver riconosciuto i meriti di chi non condivido. 

Bene, si può cominciare.

Ma i creazionisti/ gli anti-aborti/ gli anti-preservativo/ quelli che la donna deve stare in cucina/ ecc ecc.
Qua il discorso sarebbe da dividere nettamente fra religioni occidentali e orientali. Siccome chi tira fuori queste argomentazioni nove volte su dieci sta pensando alla Chiesa cattolica, mi sembra di non commettere grave peccato a limitare l'argomentazione a questa. Situazioni diverse sono diverse, chiaramente. Per quanto riguarda la Chiesa cattolica (e in realtà buona parte delle religioni occidentali), quello che molto spesso vi sfugge, è che non è fatta da una persona sola. Come ogni altra organizzazione, è un gruppo di persone estremamente eterogenee, e che, soprattutto e diversamente dalle organizzazioni laiche, non va in pensione e non ha un sistema particolarmente efficace o diffuso di abbassamento di rango. Il che significa che certi singoli che oramai orbitano la nona decade di vita, continuano a predicare come in gioventù. E il che significa, esattamente, che quanto dicono non ha più alcun valore teologico. Strano a dirsi, ma la dottrina ufficiale, pensate un po', essendo stata compilata da uomini e quindi imperfetta, continua a venire aggiornata per tenere il passo coi tempi. Che poi ci riesca o meno è un altro discorso, ma lo fa. E così Gianpaolino Paolo, il prete di Castellamareammonti, che è lì dal 1926 e continua a dire le stesse cose dal 1926, ha la stessa rilevanza teologica delle offerte Eminflex che giurano di valere ancora per poche ore. Il problema di prendersela con l'istituzione e non con la persona singola, è che è come prendersela con l'Istituto Nazionale di Fisica, quando qualcuno prova a insegnare che la Terra è piatta. La Chiesa potrebbe fare un lavoro migliore per assicurarsi che la sua dottrina sia uniforme e uniformemente insegnata da tutti i suoi predicatori? Certamente, ma se la dottrina è chiara - e lo è, basta informarsi - quando i suoi portavoce scelgono di ignorarla, beh, la colpa è solo che loro.

Ma a me mi hanno detto che ero cattiva e tutto il paese mi guardava male e poi non posso uscire la sera tardi perché...
Uno dei grossi problemi che hanno le persone nel discutere, in generale, è l'incapacità di separare i propri sentimenti dai principi. Mi dispiace molto che tu sia vissuta in una situazione disagiata di degrado e fanatismo primo-novecentesco, ma la colpa continua a rimanere degli individui e non delle istituzioni.

Ma i preti pedofili!
Insospettabilmente, gli psicopatici esistono anche all'interno della Chiesa. Mi rendo conto del fastidio (che condivido in realtà anche io) nel vedere il dualismo tra il fatto di predicare la Verità Assoluta e il dimostrarsi umani nel peggiore senso possibile, ma è inevitabile. Finché ci saranno uomini (o donne), a stretto contatto con un largo numero di ragazzi, ci saranno i pedofili. Fa schifo ma è la realtà delle deviazioni neurologiche.

Ma è la castità che...
No, la pedofilia è una malattia, non è prodotto della castità. Strano a dirsi, ma parecchi studi hanno dimostrato che periodi prolungati di castità funzionano da inibitori del testosterone. Vale a dire che minore è il contatto con il sesso e minore è la voglia stessa di praticarlo. 

Ma la Chiesa li ha protetti!
Sì, in passato ci sono stati casi di prove nascoste e persone spostate invece che radiate. C'è da dire però che quella era la mentalità delle organizzazioni, in generale, nei confronti dei propri membri. Nascondere e proteggere - nulla doveva poter mai generare uno scandalo. Il che non giustifica, ma dimostra nuovamente come siano persone come tutte le altre, figlie del loro tempo. La Chiesa di oggi è estremamente vigile e dura nei confronti di situazioni simili. Se poi di nuovo nel tuo paesino di merda da duecento abitanti non è così, è colpa del fatto che vi è arrivata la corrente elettrica nel 2007 e le persone sono ancora tutte un po' sconvolte.

Sono ricchi/ Perché non vende il suo anello e sfama l'Africa?/ Perché non fanno di più?
È sempre divertente vedere ribaltate sulla Chiesa tutte quelle argomentazioni (e uso il termine molto liberamente) che sono le orrende figlie della morale del "è più facile che un cammello passi per-". Di fatto quando in questo Paese qualcuno è ricco non ci piace mai molto, per principio. Ci sembra sempre che abbia qualcosa da nascondere, o che abbia guadagnato i soldi in modo illecito. Per carità, non ci sono mancati gli esempi a giustificare la dietrologia, e non siamo all'oscuro dell'esistenza della mafia, ma il principio resta comunque bacato. Di fatto il motivo per cui la Chiesa è (relativamente) ricca, è che il patrimonio è la prima garanzia per la durabilità di una associazione culturale. E la durabilità è la prima qualità necessaria per il corretto adempimento della vision e della mission dell'azienda. Economichese a parte, una buona quota del patrimonio - cioè della ricchezza - della Chiesa è immobiliare, e di un genere che è molto difficile da trasformare in liquidità. Per farla ancora più breve: chi si comprerebbe San Pietro? Per quanto riguarda il fare di più in termini di carità, beneficenza o quant'altro, rimarreste sorpresi a sapere quanto effettivamente la Chiesa faccia, a livello di missioni umanitarie, economicamente e non. Il poter fare di più è inoltre talmente applicabile a tutto e tutti, e a qualsiasi cosa e circostanza, che mi sembra veramente dura da poter considerare una critica. 

C'è un filo comune a tutte queste argomentazioni, e ad altre simili che non ho analizzato in dettaglio, ed è quello che dalla Chiesa, in quanto tale, ci si aspetterebbe un comportamento moralmente migliore delle altre associazioni - forse migliore di tutte le associazioni, comprese quelle di beneficenza. Di fatto è sicuramente fastidioso, più che per gli altri, scoprire che chi dovrebbe rappresentare Dio e la Giustizia, ha fatto le marachelle come tutti.
È un fastidio giustificato, fino a un certo punto. E questo punto è quello in cui ci si deve arrendere al fatto che un gruppo così numeroso di uomini non può che avere al suo interno tutte le caratteristiche degli uomini. Al suo interno ci sarà necessariamente avidità, gola, lussuria e qualunque altro difetto si possa immaginare. Nel suo complesso mi sento di dire però che questa moralità esiste, a livello generale, e viene generalmente rispettata. Per ogni prete pedofilo ne passano sotto il radar cento che svolgono professionalmente la loro funzione, capaci persino di dare uno strappo alle regole per accogliere e comprendere le situazioni dei fedeli che si rivolgono a loro. Lo dico, mi tocca ripetermi ancora, senza alcun interesse particolare.  

Ma non serve a niente/ credi alle favole/ ahah che stupidi tutti a inginocchiarsi alla domenica alle otto, io dormo.
E veniamo al succo, all'argomentazione che penso manchi al 90% dei dibattiti sulla religione e che reputo, a mio modesto avviso, quella invece fondamentale. Ovvero dare una risposta sincera alla domanda: ma a cosa diamine serve la religione, la Chiesa, allora? Se le missioni umanitarie si possono fare benissimo senza Dio, se gli edifici possono venire mantenuti e gestiti dallo Stato, a cosa serve?
Il fatto è che a voi, in questo momento, probabilmente non serve a niente. Il punto è molto semplice. Se sei una persona relativamente istruita, che viene da una famiglia relativamente atea, con una vita relativamente priva di catastrofi familiari, in un momento di tranquillità, la Chiesa ha poco o niente da offrirti. Perché la sua funzione principale, a conti fatti, è quella di riparo, di consolazione. La Chiesa è l'aiuto spirituale ad affrontare il Dolore, per chi sceglie di non affrontarlo in maniera puramente atea. Uso il termine "scegliere", non per indicare che sia una scelta, ma per evitare l'accondiscendente "ha bisogno". Perché non si tratta di una debolezza. Nessuno ha il diritto di giudicare o sminuire il modo in cui un'altra persona affronta le tragedie nella sua vita. Quando si è persi nel dolore, la percezione stessa della realtà si altera, viene deformata dal dolore stesso. Non è un'ipocrisia materialista del non voler rinunciare al giocattolo che si è rotto, quella che spinge chi ha subito un lutto a rifugiarsi nella fede - anche se si è stati atei fino a un momento prima. In quei momenti si è puramente, limpidamente religiosi. Non è una debolezza, è una fase della vita. È una necessità nobile di avanzare nella propria vita come è necessario fare. 

Non si tratta solamente di lutti, ma di ogni forma di difficoltà. La Chiesa è un aiuto fondamentale e indispensabile per dare gioia e senso a esistenze la cui insostenibilità ti è, se sei nel target dei miei lettori, probabilmente persino difficile da immaginare, prima ancora che da vivere. Vite la cui vuotezza e ripetitività avrebbero altrimenti distrutto la mente e lo spirito di chi è trovato a svolgerle.

Ora, chiariamo una cosa. Nulla di quanto faccia la Chiesa, in questo senso, è indispensabilmente o necessariamente compito della Chiesa. Di fatto non vedo motivi per cui un supporto statale, un adeguato aiuto psicologico, non potrebbero svolgere ugualmente, o meglio, lo stesso compito. Ma quello di cui ci stiamo occupando è il presente, la situazione attuale. E al momento nessuna attività governativa ha la stessa facilità, la stessa immediatezza, e la stessa assicurata sicurezza di comprensione e riservatezza, di mettersi le scarpe e fare i duecento metri circa che distanziano ciascuno di noi da una chiesa, e parlare con il prete locale dei tuoi problemi. Ed è questo che ha un impatto fondamentale nel prestare aiuto. L'idea che sia l'aiuto sia lì, fisicamente (non solo umanamente) vicino, gratuito, innegabile e assicurato.

Fino a quando la stato sarà così lontano nel garantire un'efficacia e una capillarità di servizio simile, la Chiesa svolgerà una delle funzioni più importanti per garantire il benessere della popolazione.

È questo il ruolo della religione, al giorno d'oggi. Ed è questo quello di cui non si parla mai nei dibattiti. La religione, e le istituzioni che la rappresentano, svolgono il ruolo di aiuto, di confessionale, di supporto alle persone. Di un supporto incondizionato, aperto a chiunque e a tutte le ore (più o meno) per chi è stato abbandonato da tutti, persino dalla propria famiglia (tranne di nuovo nel tuo paesino di merda dove il prete è d'accordo con tua zia che se sei uscita vestita così è giusto che ti abbiano stuprata).

Mi sento di nuovo in dovere di fare una precisazione molto stupida ma forse necessaria. Quanto appena detto non significa che la Chiesa sia esente da difetti, o che  non si impunti stupidamente su questioni meno che fondamentali (vedi i crocifissi nelle aule) o che non voglia mostrare i muscoli spesso e ricordi molto il cane che abbaia perché sa di non mordere più molto bene. E nemmeno va a negare le fastidiosissime leccate di culo che questo Paese fa, all'ordine del giorno, alla sua combriccola di cosplayer preferita. L'esempio più recente è stato forse durante la Conferenza Episcopale proprio qua a Genova, dove tutta via 20 settembre (per chi non lo sapesse una delle vie più lunghe e frequentate del centro) è stata tappezzata di megafoni che ripetevano, senza possibilità di fuga, la litania che si stava pronunciando al porto. Per quanto abbia riso e continui a ridere di chi sostiene che viviamo ancora in una teocrazia, l'essere stato costretto a sentirmi tutta la messa, sostanzialmente, solo perché avevo osato andare a comprarmi un libro alla Feltrinelli, mi ha infastidito come minimo, e anche un po' spaventato.

Ma tengono indietro il progresso scientifico!/ rallentano il mondo/ non fanno sapere la verità.
No. Di nuovo quello che vale per un paesino vittima di fanatismo, non di religione, ha ben poca influenza sul reale progresso scientifico dell'umanità. Spesso dietro l'ignoranza si nascondono motivi molto più banali, quelli economici. L'agenda anti-riscaldamento globale ha il solo scopo di permettere a un certo gruppo di imprenditori di non dover rispettare norme ambientali più restrittive, e così via. Lo stesso dicasi per le tesi religiose.
È vero che esistono, invece, forme di sbattimento del pugno sul tavolo che sono un po' ridicole, come l'esistenza degli obiettori di coscienza, o la lotta all'eutanasia, che è probabilmente l'unico motivo per cui non è ancora legale in Italia. Ma vanno dette due cose, in primis che il tono su questi temi si  sta ammorbidendo di anno in anno, e secondo, molto banalmente, che chi vuole fare una delle due cose non ha mai avuto seri problemi a riuscirci. Il traffico della morte verso la Svizzera esiste dagli anni '90, e non è mai stato eccessivamente caro, e per gli aborti si tratterà di cambiare paesino e farsi cinque chilometri in macchina. Non dovrebbe essere necessario, ma non è un incomodo o un problema ideologico tale da giustificare l'accantonamento dei lati positivi.

Che poi è il riassunto di tutto quanto. Sì, la Chiesa ha moltissimi difetti e non è esattamente dove dovrebbe già essere, ma esistono sforzi e movimenti per avvicinarsi alla situazione ideale, e il servizio di aiuto umano che fornisce alla comunità giustifica ampiamente il dover stringere i denti qualche volta e darla vinta su alcuni lati triviali della quotidianità.

Parola di Dio,
rendiamo grazia al Signore.








p.s. non vorrei fare mai una cosa del genere, ma in questo caso potrebbe rivelarsi interessante: ho la convinzione di essermi dimenticato delle argomentazioni, dei cliché che vengono usati, e vorrei incorporarli nell'articolo nel corso del tempo. Per cui se volete segnalarmeli commentateli qua sotto. I commenti si possono lasciare in modo totalmente anonimo e senza necessità di registrarsi a nulla (è un invito a insultarmi) e mi portano pure traffico : ^ ).














giovedì 1 settembre 2016

Una poesia d'amore in prosa

La parte più difficile del diventare un poeta o un fotografo è convincere i tuoi amici che lo sei. Fino al giorno prima eri il solito stronzo, ma una sera ti presenti al baretto e hai lo sguardo perso. Convinti che sia per qualcosa di serio i tuoi amici si preoccupano e ti chiedono cosa ci sia che non va. Scrolli la testa e sorridi un poco, sbuffando. - non è nulla ragazzi, stavo solo pensando un po' -. I tuoi amici ora sono convinti che tu sia semplicemente fatto, e la prendono sul ridere. Ma tu hai dentro l'universo. Universo intimo, la marca delle tue mutande.

Il fatto è che fondamentalmente sei lo stesso del giorno prima, o meglio se anche hai piantato il seme del cambiamento manca ancora la giusta dose di concime per portarlo a un risultato visibile.
E lo sforzo, diciamolo, è il problema principale.
Perché c'è un motivo se hai scelto una forma di espressione che è facilmente sostenibile senza grossi sforzi pratici. O che almeno credi non ne richieda. Non è la fatica l'obbiettivo. Non è nemmeno l'obbiettivo, se hai scelto la fotografia, anche se prima o poi uno dovrai comprarlo. Metà delle foto che hai fatto vedere alla tua ragazza sono fatte con la reflex, l'altra metà con il cellulare. Non le hai spiegato questa cosa.

E lei preferisce le seconde.

Anche tua mamma ti fa lo stesso commento. E poi te lo fa il tuo migliore amico. E poi te lo fa anche la tua migliore amica - che di fatto è più una ex piuttosto che un'amica, ed è l'unica persona della tua età, credi, dell'altro sesso, con cui hai veramente confidenza.
Sei convinto che l'averti visto nudo sia in qualche modo un prerequisito fondamentale per la tua capacità di aprirti con una persona. Sei lievemente imbarazzato dal tuo corpo nudo. Anche dopo tutti questi anni. C'è sempre qualcosa che non va. Sei troppo magro, per dirne una. E le costole non sono... dritte? È possibile non avere le costole dritte? Vorresti controllare ma hai una vaga paura recondita di scoprirti malato di qualcosa di terminale e orribile, e pensi che tutto sommato è una curiosità stupida che non è il caso di andare a controllare.

Non perdiamoci troppo. Arte. Poesia e fotografia. Nel frattempo sei arrivato a venti poesie composte. Anche se non te ne piace più nemmeno una, non sono poche, ti dici, e un po' ci credi. Sai che il numero non conta, ma sai anche che il numero un po' conta. Puoi chiamarti un poeta se hai scritto una sola poesia? O due? O cinque? 

Cinque era il tuo limite inferiore. Dopo cinque - dopo cinque glielo dico. Hai la brutta abitudine di parlare troppo presto dei tuoi progetti, delle tue ambizioni. Ne parli come fossero già finiti e fossero già andati in porto, quando in realtà hai appena iniziato. Ne consegue che quando poi le cose vanno bene non puoi esultare, perché la felicità e le congratulazioni te le sei giocate all'inizio, e quando vanno male ci fai una figura di merda non da poco.

La prima fotografia di cui vai fiero riguarda la tua migliore amica. Che nel frattempo ha un nome - Laura - e che nonostante si sia rifiutata con forza di farsi fotografare nuda, non ci ha messo troppa convinzione nella risposta. E pensi che tutto sommato si opponeva non all'idea di posare nuda, ma di posare nuda per qualcuno che non è nemmeno un fotografo. Se sei un fotografo, uno vero, non c'è nulla di male a posare nuda. È arte. Certo, non la farai comunque vedere a tuo padre o tua madre, ma è pur sempre arte. L'imbarazzo che provi è un brutto costrutto sociale, figlio di secoli di barbarie, che è duro rimuovere. Ma sai che un giorno ce la farai. You go girl.

Se non ha accettato di posare nuda, poco ci manca. La hai spogliata di tutto a parte l'intimo e le dai una quarantina di nastri di cartapesta colorati. Ne hai presi di ogni sfumatura dell'arcobaleno. Le dici di indossarli. Laura è un po' in imbarazzo. Il suo imbarazzo è principalmente causato dal cercare di combattere l'innaturale e orrenda sensazione di imbarazzo che viene dalla barbarie di vergognarsi a stare in intimo con un'altra persona. Lo sai che è per quello. Settimana scorsa siete stati al mare assieme e non aveva alcun problema. Adesso invece quasi ti dice che non lo vuole fare; che è stata una pessima idea - non so perché ho accettato, dai dammi la maglietta.

Qui si forma il primo dubbio. Dovresti insistere o lasciarla fare? Se ti opponi la cosa potrebbe andare un po' troppo in là. Hai qualche flash istantaneo della tua vita in carcere. E quando esci tuo padre che non vuole più guardarti. Sai che ha un senso dell'umorismo spiccatamente nero, e che prima di vietarti di tornare in casa si sarebbe messo a ridere e ti avrebbe detto che se proprio ti dovevi beccare una sentenza per stupro, almeno che fosse stato per una veramente figa. Laura non è brutta, ma ti da fastidio il modo in cui pronuncia le r.  Ti sembra molto superficiale, come difetto, ma non puoi evitare di pensarci ogni volta che apre bocca. Ha dei bei denti. E delle labbra piacevoli: non molto carnose ma nemmeno invisibili. 

In ogni caso, riprendi la concentrazione. Decidi che ne vale la pena. La guardi fissa negli occhi, evochi la voce più profonda che ti riesce di portare fuori dai tuoi polmoni e ti opponi. No, Laura, forza. Mettiti i nastrini. È per la foto, forza. 

Non sei molto convinto delle tue argomentazioni e continui.

Non devi pensare male. Il nudo era per la mia visione artistica dell'immagine. I colori, la luce, e le cavernosità del corpo femminile. Era un bel contrasto, non trovi? In ogni caso hai detto di no, e io ti ho rispettato. Ora per piacere rispetta il mio lavoro.

Non hai mai scattato una foto a una modella - o un modello, o una persona qualsiasi, se è per questo - per cui non hai bene idea di cosa sia esattamente il tuo lavoro, ma Laura si convince. O almeno si calma.

Come li devo mettere questi? - ti chiede. Appoggi la camera sul pavimento e ti avvicini. 

Laura fa un passo indietro. Ha le mani completamente occupate e per sorreggerli tutti tiene gli avambracci tesi in avanti. È indifesa, pensi, non può reagire, e ti spaventi un po' da solo. È lo stesso pensiero che ti viene ogni tanto quando prendi in mano i coltelli grandi della cucina. Potrei ucciderli tutti, se non lo faccio è solamente la mia volontà a impedirmelo. Ti senti potente ma scacci il pensiero. Laura trema un poco. È il freddo, lo sai, e non ti fai troppe illusioni.

Inizi a lavorare. Prendi un nastro alla volta. Sono tutti mezzo metro, centimetro più o meno. Le bendi un occhio dando un giro attorno alla testa e lasci il resto a penzolare dietro la schiena. Pieghi un secondo nastro a metà, per la superficie lunga, e lo fai passare dal mento su per tutta la faccia, come a tagliarla in verticale. Poi lo adagi sui suoi ricci lungi, raccolti come un palma sulla testa. Prendi un altro nastro e glielo avvolgi attorno al collo a mo' di sciarpa. Poi fasci le braccia e le gambe. Occupi quasi tutto il torso, lasciando spazio attorno al seno che per imbarazzo non tocchi. Stringi alcuni nastri attorno alle ascelle e li fai cadere lungo la schiena. L'effetto mantello non è come te lo immaginavi, ma non ti dispiace. Finisci di mettere gli ultimi tre un po' casualmente.

Laura ti guarda speranzosa, non può saperlo ma confida che l'effetto finale sia qualcosa di più che semplicemente buono o carino.

E ora? - ti chiede, mentre cammini indietro per recuperare la macchina.

Ti chini e la prendi, la accendi e le sorridi. 

E ora sdraiati.

Laura ti guarda di nuovo perplessa. Forse anche spaventata, non ne sei sicuro con i nastri che coprono quasi ogni centimetro del suo viso.

N-no, cosa? Perché?

Sdraiati.

Laura si sdraia prona.

Ora girati lievemente sul fianco destro. No, quello è il sinistro. Così. Porta le braccia un po' davanti alla pancia. Ecco, hai capito subito. E le gambe. No, non così. Più piegate dopo il ginocchio. Ancora un po'. Perfetto.

La guardi un paio di secondi. È attraente e tu sei maschio e in quanto maschio sei porco, e in quanto porco sei privo di morale. Come per esempio il fatto che la tua attuale ragazza - già, mi sono dimenticato di citarla - non sa niente di quello che stai facendo, e ti crede alle prese con qualche esame. Ma non ci pensi troppo. Non pensare troppo è un esercizio che hai cominciato a praticare molto spesso, negli ultimi tempi.

Ti avvicini e scatti. 

Laura protesta. 

Nell'eccitazione ti sei dimenticato di spegnere il flash.

Avvisami almeno la prossima volta - si lamenta, rispondendo alle tua bugia che fosse tutto intenzionale e al fine della tua visione artistica.

Cominci a scattare.

Il click della macchina ricorda un po' quelle da scrivere, che hai sempre detestato - con il loro fascino da epoca passata e la loro totale inutilità, ormai.

Convincere i tuoi amici che quello che fai sia arte è stato difficile. Questo potresti dire se ci fossi riuscito. Ma non ci sei ancora. Non tutti capiscono. Non i tuoi amici. No, loro non capiscono. Ma hanno semplicemente una visione ristretta di cosa sia e non sia l'arte. E per estensione di chi la possa praticare. Cosa ne vogliono sapere. Ti piacerebbe avere un tesserino. Una patente, qualcosa che possa affermare oltre ogni ragionevole dubbio che sei un'artista. Sai che non ne esistono, ma nulla ti impedisce di sognare.

Fai girare Laura supina, con la testa rivolta al soffitto. Guarda più indietro che puoi, le dici. Alcuni fra i nastri si sono rotti e sono finiti sul pavimento attorno al suo corpo. L'avevi previsto e speravi sarebbe successo. Ti inginocchi e allarghi l'obbiettivo. Scatti quattro volte. Poi ti prendi un secondo per asciugarti la fronte con la mano. Ne approfitti per fissarle il culo. Era una delle sue parti che preferivi, quando stavate insieme, e si è conservato come era.

Laura è estremamente scomoda con il collo sforzato a quel modo e non manca di comunicartelo. Ti alzi in piedi. Ti metti sopra di lei, con piede destro e sinistro qualche centimetro più in là dei suoi rispettivi fianchi. Puoi percepire il suo fastidio, ma non dice nulla. Dopo un altro paio di scatti la lasci libera. Si rialza. Nel gesto finisce di strappare buona parte dei nastri, che si accasciano sul pavimento.

Come sono venuta? - ti chiede, con un filo di vanità malcelata.

Perfetta - le sorridi.

Alla sera, di fronte al pc hai circa un centinaio di fotografie. Sono tutte pressoché uguali: non ne sono venute molte sfumate, come temevi, e quelle che lo sono lo sono con una loro grazia. I colori dei nastrini si mischiano quasi, in quelle, e tutto il pantano che si crea emana vita. Lentamente cominci a scremarle. Le elimini una ad una fino a che te ne rimangono quattro - per le diverse posizioni in cui l'hai fatta mettere. 

Sei soddisfatto. Per un po' intratteni l'idea di masturbartici sopra. Per quale motivo averle scattate, altrimenti? Lo accantoni per un altro momento.

Dopo un mese sono diventate venticinque. Hai scritto le ultime con molta più facilità. Non sai se questo dipenda dal fatto che sei innamorato o semplicemente dal calo di qualità. C'è stato un calo di qualità? Sei fermamente contrario al cliché dell'uomo innamorato che compone arte per la sua bella. Di fatto la poesia numero ventiquattro parla esattamente di questo: una descrizione minimalista di un ipotetico soggetto maschile, innamorato a suo volta, che reclama la propria totale eguaglianza alla sua donna. Tu sei ok, io sono ok, passiamo qualche bel momento assieme. C'è questa frase, più o meno letteralmente così. Non trovi un modo per farla suonare meglio, ma ti piace il concetto al punto che non vuoi rinunciarci. Odi il fatto che gran parte della tua arte si potrebbe definire minimalista. Ti piacciono l'esuberanza, le cattedrali nel deserto, e ti ritrovi a scrivere allo stesso modo di ogni tuo coetaneo.

Il problema è che quando tenti di fare qualunque altra cosa, il risultato poi ti fa schifo.

Ogni poesia d'amore è una poesia d'amore verso se stessi.

Anche le tue.

Laura è simpatica e affettuosa e non ti ricordi perché vi siete lasciati. 

La ventitré fa così:

Ti ho dato tutto quello che avevo
che non è granché
perché quello che ti ho dato non era tutto

Ti ho dato tutto quello che potevo darti
che non è granché
perché quello che ti ho dato non era tutto

TI ho dato tutto quello che potevo convenientemente darti
che non è granché
perché quello che ti ho dato non era tutto

TI ho dato tutto quello che mi sentivo in quel momento di darti
che non è granché
perché quello che ti ho dato non era tutto

E
in cambio
io voglio
Tutto.

Non ti piace, ma non vuoi cancellarla. Vorresti rimasse - oppure no, perché ogni volta che senti una poesia che rima ti ricorda Leopardi e cose vecchie e morte e stra-morte.
Vorresti scattare altre foto, ma questo giovedì Laura ha da fare.